La bellezza oltre i limiti della disabilità: intervista a Giorgia Cirulli

In una società sempre più concentrata sull’apparire, piuttosto che sull’essere, convivere con una disabilità non è semplice. Nonostante le crescenti campagne di sensibilizzazione e una maggiore consapevolezza, spesso chi presenta una disabilità deve fare i conti con numerose difficoltà.

Ciò vale anche, e soprattutto, per i cosiddetti “disabili invisibili”: persone affette da patologie invalidanti non visibili a occhio nudo. Fibromialgia, endometriosi, morbo di Crohn e rettocolite ulcerosa sono solo alcune delle malattie invisibili che possono compromettere il benessere fisico e psicologico di chi ne soffre, accentuando il disagio di quanti faticano ad accettare (e far accettare) la condizione di disabilità che vivono.

Tuttavia, ci sono persone che non si arrendono e che ogni giorno lottano per dar voce a tutte le forme di disabilità. Ci sono persone, come la personal trainer Giorgia Cirulli, che hanno scelto di esporsi pubblicamente a nome di quanti soffrono in silenzio, nascondendo ogni giorno la propria bellezza a causa di un dolore non compreso e una disabilità non accettata.

Costretta a vivere senza intestino e con un sacchetto attaccato alla pancia dopo un intervento di stomia, Giorgia ha scelto di trasformare la sua patologia nel suo tratto distintivo. Facendo di necessità virtù, ha fondato Freedapouch per sensibilizzare sulle malattie infiammatorie croniche intestinali e ricordare a tutti che si può rinascere più forti, più dignitosi e coraggiosi anche con una disabilità. 

In questa intervista conosciamo meglio Giorgia, il percorso che l’ha condotta fino a qui e il progetto di bellezza in tutte le sue forme che da dieci anni porta avanti con orgoglio.

Ciao Giorgia, grazie per questa intervista. Prima di raccontarci la tua storia, parlaci un po’ di te: chi sei, cosa fai nella vita e quali sono le tue passioni?

Un caro saluto a tutte le lettrici di UNIQA! Sono molto felice di potermi raccontare qui.

Mi presento: ho quasi 41 anni, sono madre di Gianmaria – dodicenne molto simpatico – e sono di Milano. Nella vita sono una Personal Trainer e, prima della malattia, ho fondato la mia attività di fitness femminile online “HOME FIT HOME”. 

Poi, due anni fa, la vita mi ha condotto anche su un’altra strada, portandomi a scontrarmi con una nuova realtà: la rettocolite ulcerosa. Da qui è nato “Freeda Pouch”, il movimento/community che ho fondato per sensibilizzare sulle patologie infiammatorie croniche intestinali, da cui anche io sono affetta. Si tratta a tutti gli effetti di malattie autoimmuni che interessano l’apparato digerente differenziandosi sul tratto di estensione della patologia. Purtroppo, dalla rettocolite ulcerosa o dal Morbo di Crohn non si guarisce, tuttavia esistono cure efficaci che possono garantire una convivenza serena con la malattia.

Nel mio caso, dal 2014 al 2021 la patologia è stata severa e inarrestabile nella sua infiammazione e nessun farmaco mi ha mai mandata in remissione, provocandomi inoltre forti danni collaterali e un deperimento fisico che mi ha portato quasi al collasso. La chirurgia d’urgenza era l’unica soluzione per salvarmi.

Così ho accettato di intraprendere questa nuova “avventura” e tutto ciò che ne è conseguito. 

In primo step consisteva nella rimozione definitiva dell’intestino crasso (colon) e nel confezionamento di una ileostomia temporanea: in altre parole, parte del mio intestino tenue è stato deviato fuori dal mio addome per scaricare i miei effluenti (materiale enterico) all’interno di un dispositivo medico (simile a un sacchetto), incollato sulla mia pancia H24.

Questo intervento difficile ma salvavita è stato solo l’inizio di un percorso chirurgico in 3 step durato 2 anni, che si è infine concluso con la ricanalizzazione.

Cos’hai provato quando hai compreso che la tua vita non sarebbe stata più la stessa dopo l’intervento di stomia? Cosa ti ha spinto a non abbatterti e ripartire con più forza?

Ho iniziato a scegliere di rispettare il mio corpo per quello che è: un campo di battaglia dove si sono alternati scontri all’ultimo sangue tra me…e me.

Durante questo percorso ho imparato a tradurre la sofferenza e la fatica in gentilezza, facendo tesoro della mia esperienza e dei miei errori per essere un buon esempio in primis per mio figlio. Avendo la fortuna di essere una sopravvissuta ho ridefinito le mie priorità di donna, di imprenditrice e di disabile, senza paura ma solo con una grande consapevolezza costruita in 4 anni di dura psicoterapia.

Adesso sono in grado di scalare la montagna della malattia e dell’imperfezione ogni santo giorno, senza più essere competitiva o talentuosa, ma autentica. Mostrandomi nella verità, io non rischio più: sono pronta al fallimento e all’opportunità che ne può nascere.

In questo racconto che dura da anni, ho trovato la possibilità di essere ripagata nell’aver perso come eroina predestinata, tessendo in questo tempo, con impegno e costanza, una realtà tangibile di crescita, fiducia ed entusiasmo nello schivare continuamente i colpi bassi della vita.

Le persone libere non hanno nulla da barattare, quindi ho deciso di essere uno scenario da cui attingere forza, energia ed essere un valido conforto per i momenti bui di chi attraversa la mia stessa condizione ma non ha gli strumenti per accettare questa ingiustizia perché, di fatto, di questo si tratta.

Nel tuo viaggio personale e professionale, hai visto cambiare la percezione della bellezza, soprattutto quando si convive con una disabilità come la stomia? Ti sei mai sentita, o ti hanno mai fatta sentire, “meno” rispetto agli altri solo per via della tua condizione?

“Fare amicizia con le nostre parti” significa “accettare radicalmente” che condividiamo il nostro corpo e la nostra vita con dei “coinquilini” e che per vivere bene con noi stessi dobbiamo vivere in maniera amichevole e collaborativa con tutti nostri sé, non solo con quelli che ci mettono a nostro agio. 

Ho praticato l’autoalienazione per lungo tempo e questo ha generato tensione, ha messo una parte contro l’altra del mio corpo, comunicavo in maniera ostile con il mio trauma e l’autostima diminuiva. È stato un lungo viaggio di rifiuto prima di arrivare a questo mondo interiore così sicuro e consapevole.

Oggi, onestamente, la mia soddisfazione non è il risultato della mia fatica ma il processo che mi ha condotta fino a qui. Amo il processo che c’è stato dietro a tutto quello che all’apparenza sembra perfetto quando è decisamente segnato, rovinato ma unico.

Hai dimostrato che i social media possono essere uno strumento potente per cambiare la narrativa attorno alla disabilità e alla bellezza. Come utilizzi queste piattaforme per ispirare e informare? C’è un equilibrio che cerchi di mantenere tra condivisione personale e privacy?

Quando ci si espone su temi d’impatto bisogna essere coscienti e consapevoli che si diventerà uno specchio attraverso cui gli altri si rifletteranno.

La disabilità per me è un viaggio costante di riscoperta verso me stessa, a partire dal mio corpo e dalla mia intimità, fino al riprogrammare un approccio mentale più flessibile ed estremamente educato alla gestione degli imprevisti. Ciò non toglie, però, che la mia comunicazione, online e offline, vuole essere autentica e accogliente da sempre

Non basta diventare l’eroina di un superamento personale per rappresentare un esempio positivo per la società: per fare la differenza bisogna scendere dal podio e camminare insieme agli altri

Questo gesto è sempre il miglior atto per non far sentire nessuno diverso o escluso. Per creare un senso di appartenenza, quindi, si passa attraverso un processo di identificazione. In questo senso penso, o meglio spero, che raccontandomi sui social abbia nutrito lo spirito di sopravvivenza di quelli che si sono trovati (o si trovano) ad affrontare una sfida durissima.

E così nasce l’esigenza di riconoscersi tra simili, di creare un gruppo che va al di là degli elementi in comune o delle passioni, che intende costruire benessere diventando una reazione a catena di valore e di umanità dove so che le persone che satellitano intorno a me si sentono protette.

Aver influenzato e ispirato donne di qualsiasi età a trasformare una condizione traumatica in una risorsa è per me un grandissimo successo da celebrare e condividere. Un tema come la malattia, parte di un’evoluzione, è forse l’approccio giusto per non lasciare che proprio questa ci frammenti e ci disunisca.

Indubbiamente, faccio del mio meglio per separare la comunicazione sociale da quella privata. Anche se i social costituiscono gran parte del mio impegno lavorativo e sociale, dall’altra parte ho una sfera privata che racconto con parsimonia, sempre chiedendomi se quello che avrei da dire potrebbe essere utile e non banale.

Diciamo che non sono una persona che utilizza queste piattaforme per seguire i trend, per il posizionamento o per fare hype attorno al nulla.

Considerando le tue esperienze, quali consigli daresti a chi vive condizioni simili alla tua? Secondo te ci sono prodotti o tecniche particolarmente utili o confortanti per chi, a causa di una disabilità, non riesce a esprimere la propria bellezza?

La nostra sopravvivenza dipende dalla capacità di costruire buone relazioni con gli altri esseri umani, per essere amati e rispettati. In questo, la gentilezza ha un ruolo straordinario ed è bene alimentarla dentro di noi soprattutto quando la vita ci rema contro.

Sentirsi in contatto con sé stessi aumenta il benessere psicologico e fisico e riduce il rischio di depressione e disturbi fisici. Il sentirsi “connessi” con gli altri, invece, aumenta la risposta empatica, la fiducia e la cooperazione.

D’altro canto, la gentilezza ha un correlato neurofisiologico: a livello biochimico, praticare gentilezza porta ad un aumento dei livelli di dopamina nel cervello e si ottiene un naturale effetto chiamato Helper’s High, definibile come una sensazione di profonda euforia seguita da piacevole calma.

Avere una malattia, talvolta, può essere un percorso interiore che diventa un vero e proprio viaggio alla ricerca del proprio Io. Tuttavia, spesso abbiamo bisogno di più strumenti per raggiungere consapevolezza e dolcezza verso i nostri corpi fragili.

Per favorire l’equilibrio psico-fisico dobbiamo quindi attuare comportamenti gentili e mai opporre resistenza a ciò che non possiamo contrastare.

In altre parole, il mio consiglio è di guardare da un’altra angolazione questo conflitto a vita e smetterla di aggredirlo! Accettando, affrontando e abbracciando la difficoltà ne gioverà anche il cuore e il cervello rimarrà spiazzato poiché sarà costretto a elaborare uno stimolo completamente diverso. 

Funziona? Provare per credere.

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